Itinerario della Madonna del Corno

Itinerario della Madonna del Corno

Un sentiero che, passo dopo passo, trasforma la meta finale in un luogo capace di suscitare l’emozione di proseguire il cammino come se si stesse volando.

II punto di partenza è la chiesa di S. Bernardo, nella contrada Zurane di Provaglio. Sorta alla fine del Quattrocento in luogo di una più antica torre che era parte del sistema difensivo facente capo al castello sul monte, la chiesa subì una profonda ristrutturazione nel primo Seicento, assumendo l'aspetto attuale. All'interno, di grande interesse è un affresco cinquecentesco che tra l'altro rappresenta, in tre riquadri accostati, il martirio del Beato Simonino da Trento, a testimonianza di un pregiudizio anti- ebraico già allora presente. Va segnalato che nella pala dell'altare laterale, raffigurante la Vergine con S. Gottardo e S. Francesco da Paola, il paesaggio sullo sfondo è proprio quello del presente itinerario, con la chiesa della Madonna del Corno e, più in basso, la chiesa di S. Ambrogio (ora S. Rocco) all'interno delle rovine del castello.

La strada che sale verso il monte, oggi asfaltata, era un tempo lastricata con pietre di medolo e tale è ancora nel tratto dopo il sito denominato Pian delle Viti. Una sua acuta curvatura segnala una stretta valletta, in quel punto scoscesa, entro la quale scorre un torrente, il Valù: esso nasce poco sopra, appunto al Pian delle Viti, e raccoglie le acque di scorrimento dei fianchi montuosi circostanti. Fino agli scorsi anni Sessanta, dopo i temporali estivi tale torrente, violento e impetuoso, si riversava direttamente sulla via centrale del paese e proseguiva, entro un fosso laterale, lungo l'attuale via Sebina fino al Monastero di San Pietro in Lamosa; lì, attraverso una canalizzazione ottocentesca in muratura, si scaricava nelle Torbiere. Se il toponimo Provaglio derivasse davvero, come qualcuno crede, dal latino pre vallum, certo sarebbe a causa di questo Valù ("Vallone") e della sua importanza per la vita locale. 

Una possibile deviazione. Dall'acuta curvatura si diparte un sentiero che conduce alla balota, masso erratico di grandi dimensioni, trasportato e depositato dal ghiacciaio della Valcamonica nel corso di una delle sue fasi di espansione tra 700.000 e 10.000 anni fa; la roccia è il Verrucano Lombardo, presente nella media e alta Valcamonica. Non lontano dalla balòta si trova una grotta naturale, denominata pósha uricina.

Dopo la stretta curva, il lato sinistro della strada è fiancheggiato da un vecchio muricciolo che delimita due secolari uliveti terrazzati. Sull'area del primo è visibile un piccolo edificio con porta e finestre a sesto acuto, costruito come appostamento di caccia e dotato di camino. Edificato nell'Ottocento, esso si ispira però a uno stile precedente (il Gotico del Trecento-Quattrocento), peraltro "di moda" a quel tempo. Il tutto fa pensare a una ex tenuta di gente nobile o benestante.

Sulla destra, la fiancata ripida è quella di una specie di promontorio, alla cui sommità sorgeva il castello. Le sue imponenti fondamenta, riportate alla luce da recenti campagne di scavo, sono oggi visitabili, presentate attraverso pannelli illustrativi che propongono anche la probabile forma del complesso, sorto nel XII secolo e distrutto nel Quattrocento. Considerata la posizione e la visuale, doveva trattarsi di un nodo strategico nel sistema di controllo feudale del territorio, voluto dalla Casata Ysei-Oldofredi di Iseo.

Tale sistema non ebbe più ragione di esistere quando, appunto nel corso del XV secolo, i poteri territoriali locali vennero superati da una nuova forma di potere statuale, tendenzialmente "regionale", con nuovi confini e, di conseguenza, strutture di controllo e difesa diversamente dislocate. Sull'area del castello si trova la chiesetta dedicata a S. Rocco, sorta dalla ristrutturazione di un edificio religioso assai più antico, come testimoniano numerose fonti (in cui la denominazione è "S. Ambrogio in Castro", cioè "S. Ambrogio nel Castello") e come dimostrano la muratura e le monofore dell'abside, solo da poco "scoperte" in seguito alla rimozione dell'intonaco esterno. Se si esclude qualche maldestro intervento degli scorsi anni Settanta (in particolare il portichetto all'entrata), essa assunse l'aspetto (e la dedicazione) attuale nel secondo Ottocento. Davanti alla chiesetta, la cisterna del castello, che reca una lapide in ricordo dei morti per la peste del 1630, è stata fino al primo Novecento meta di malati, i quali si bagnavano con la sua acqua sperando di ottenere la guarigione. Si direbbe quindi che questo luogo, rifugio dalle aggressioni e dai furti per persone, animali e merci quando il castello era ancora integro, divenne, dopo la distruzione della struttura difensiva, riferimento e ricovero "taumaturgico" per appestati o malati. Si spiega così la dedicazione della chiesetta a S. Rocco (protettore appunto dalle pestilenze), non appena la chiesa omonima che sorgeva in paese fu sostituita dalla nuova Parrocchiale. Per quanto piccola e apparentemente "spoglia", questa chiesetta, una volta studiata meglio, potrebbe riservare interessanti sorprese. Come sopra accennato, le due monofore dell'abside (e con esse alcune tracce decorative a sinistra dell'altare) testimoniano infatti chiaramente una preesistenza all'intervento ottocentesco; inoltre, la probabile presenza di spazi vuoti sotto il pavimento e all'esterno rimanda ad antichi passaggi sotterranei, plausibili alla luce della natura "castellana" del luogo.

I lembi di pineta, a sud del castello e un po' su tutto il versante meridionale del monte, sono quanto resta di piantumazioni avvenute negli anni Trenta del Novecento; prima di questi interventi forestali, realizzati grazie all'apertura di cantieri promossi per assorbire i disoccupati locali, il monte era nudo, come documentato da vecchie fotografie. Migliaia furono le conifere messe a dimora: cipressi, cedri, pino comune e soprattutto pino nero d'Austria. Gli alberi di quest'ultima specie, forse perché inseriti in un ambiente inappropriato, richiamano un fastidioso parassita: processionaria del pino. Dalle uova, depositate tra gli aghi dei pini, si sviluppano larve che, in novembre, formano nidi somiglianti a batuffoli di seta. Cresciute fino a diventare bruchi pelosi grossi come un mignolo, ad aprile avanzato scendono dai nidi in fila indiana, in lente processioni, si interrano a 5-20 cm di profondità e si imbozzolano. Durante l'estate, dai bozzoli escono farfalle che si accoppiano, per poi depositare le uova e riavviare il ciclo. Nelle fasi della crescita e della processione, i peli del bruco possono procurare agli uomini fastidiosi pruriti, irritazioni cutanee e talvolta difficoltà respiratorie. Nessun sistema si è rivelato efficace ad impedire la sgradita presenza del parassita. Solo la graduale sostituzione del pino nero con specie arboree autoctone permetterà di raggiungere l'auspicato obiettivo, a cui la natura contribuisce spontaneamente favorendo la colonizzazione di frassini, roverelle e qualche terebinto. In primavera è facile incontrare in questi boschi upupe, fringuelli, verdoni e verzellini, mentre in autunno frotte di cince, regoli e scriccioli si insinuano nelle pieghe delle cortecce in cerca di insetti.

Proseguendo verso la meta dell'itinerario, la strada costeggia il lato Sud del Pian delle Viti, un piccolo altopiano post-glaciale (si veda in proposito ancora la scheda n. 5) il cui nome allude con tutta evidenza a una antica, tradizionale presenza di vigneti. Essi caratterizzano tuttora il luogo, nonostante si tratti in gran parte di vigneti "di nuova generazione", il cui impianto ha comportato la radicale trasformazione di un sito, all'inizio del vallone, dove erano presenti piccoli fontanili e risorgive. Il Pian delle Viti col suo pugno di case, il licinsi e la sagra di S. Rocco è stato, fino a due-tre decenni fa, un mondo a sé, quasi esotico per chi viveva in paese e lo raggiungeva solo poche volte l'anno: la sensazione era di andare, appunto, in un altro mondo", un mondo imparentato col sogno e il desiderio, il mondo della vacanza, della festa, delle semplici, care, umane evasioni "di una volta". Tutti conoscevano i suoi pochi abitanti ed incontrarli trasmetteva il brivido di gioia e di avventura che sempre si prova sfiorando gli esseri di un qualche "altrove" amico. Dora, Nas 'cio, i Multi, i Camani, Re, la Signorina sono alcuni degli ultimi, leggendari, amatissimi personaggi di uno degli scenari che le odierne comodità hanno cancellato.

L'ultimo tratto della strada pianeggiante del Pian delle Viti delimita, sulla sinistra, un ampio prato, dove oggi è facile vedere dei cavalli e dove si ergono ancora due ciliegi che, fino a quando tutto ciò era un "altro mondo", costituivano una "dolce" attrattiva, almeno per ragazzini e ragazzotti. Documentati da una vecchia fotografia degli anni Venti e da molto tempo scomparsi sono i giganteschi e bellissimi castagni: di essi parlava sempre con ammirazione e rimpianto la Signorina, proprietaria del sito. Nel cominciare a salire, la strada diventa lastricata, attraversando boschi di frassini e carpini. Si possono notare cespugli di rös (Cotinus coggygria) e, sul rosso terreno argilloso, cuscini di poligala rossa (Polygala chamaebuxus) i cui fiori, se fecondati, si tingono di rosso agli apici.

Quando, salendo e sbuffando, comincia a vedersi la Madonna del Corno, appare anche, sulla sinistra, un ampio sentiero in pietra e cemento che conduce, dopo pochi metri, alla Cappella del Disperso, inaugurata nel 1960 in ricordo dei Caduti e Dispersi delle due Guerre Mondiali. Il complesso della Madonna del Corno, oggi gestito dalla locale sezione C.A.I., comprende, oltre alla chiesa, altri locali: ci si imbatte in essi immediatamente e vi si accede attraversando il cortile con pozzo. Erano, all'origine, la residenza del "romito" (una specie di eremita) che custodiva la chiesa. Tra il primo e il secondo Novecento, sempre con l'incombenza di custodire la chiesa e di gestire il suo campanile (che probabilmente ha scandito per secoli il tempo sacro e profano dei provagliesi, le ore, le solennità, l'allegrezza e i pericoli) vi viveva una famiglia, quella della leggendaria e dolcissima Betta, che aveva destinato la stanza inferiore a osteria. Ora, con interventi leggeri, rispettosi e preziosi, gli animatori del C.A.I. hanno attrezzato questa parte "residenziale" a rifugio, con possibilità di cucinare, trovare qualche provvista e dormire, previa prenotazione telefonica. Alla chiesa si accede dal suo strepitoso sagrato, avanti qualche passo. Strepitoso per il maestoso panorama che offre e per il fresco che, agli affaticati e accaldati passeggeri, regalano i suoi secolari ippocastani. La chiesa, sulla quale si attende ancora uno studio specifico e approfondito, porta incisa all'entrata la data 1509. Già sulle pareti del bel portichetto si scorgono tracce di antichi affreschi, uno dei quali stupidamente e dolosamente strappato alcuni anni fa.

Altri affreschi, con caratteri stilistici simili a quelli del Monastero di San Pietro in Lamosa (databili quindi a fine Quattrocento - inizio Cinquecento), sono visibili all'interno: uno di essi, raffigurante la Vergine col Bambino, era considerato miracoloso. Le tele che vi si ammirano sono copie di quelle originali, messe al sicuro altrove. La più grande rappresenta il (curioso) martirio di S. Erasmo, sventrato e appeso alla catena di un pozzo con le viscere. Le decorazioni, che occupano gran parte delle pareti, sono ottocentesche e coprono affreschi precedenti. Lo strapiombo sottostante alla chiesa è invaso dalla ginestra, non presente in altre aree dei dintorni: a fine primavera i suoi verdi rami si ricoprono di fiori gialli. Lo stesso vale per altre erbe e fiori, come il lino delle fate, caratterizzato da un lungo filo piumato che i nostri vecchi bagnavano in acqua e calce per renderlo più candido, conservarlo e infilarlo per vezzo nel cappello.

Una leggenda racconta che i provagliesi avevano pensato di edificare una chiesa alla Santa Vergine non nel luogo così scosceso dove è oggi, ma avanti trecento metri, proseguendo lungo la strada, sopra la cima pianeggiante di un dosso che offre una straordinaria veduta panoramica sul Lago d'Iseo e i monti della Valcamonica. Infatti, lì, in prossimità di un appostamento di caccia, ci sono i resti dei muri in pietra di un cospicuo edificio. Secondo tale leggenda, eventi arcani fecero naufragare più volte i lavori di costruzione, fino a quando i provagliesi capirono che la chiesa alla Vergine doveva essere edificata là dove oggi possiamo apprezzarla. In realtà risulta da più documenti che, fino almeno al Settecento, erano presenti due chiese; quella oggi diroccata era titolata alla Madonna di Loreto, aveva un "romito", era talvolta sede di celebrazioni e decadde forse perché qualcuno la trovò più utile come stalla; l'altra era dedicata alla Madonna del Corno o Ceriola.

Proseguendo e scendendo lungo un sentiero periglioso (Pas del Luf, "Passo del Lupo"), si raggiunge un dosso più basso, dove è stata disposta vent'anni fa una grande croce in cemento. Il luogo, emozionante, invita ad aprire le braccia e abbandonarsi al volo, planando sulle Torbiere, lasciandosi risucchiare dalle correnti ascensionali e rituffandosi giù in picchiata, proprio come facevano anni fa le poiane che nidificavano tra queste rocce. Si può curiosare tra l'erba alla scoperta di fiori inconsueti, ammirando farfalle e altri insetti. Si possono lasciare, a vagabondare rilassati, lo sguardo e il pensiero. Qui davvero si può riposare.

 

Dove partire:

  • dalla Chiesa di San Bernardo, punto di partenza consigliato (è possibile proseguire in automobile anche fino al Pian delle Viti, ma si consiglia prudenza durante il percorso in auto, poiché la strada, oltre a presentare tratti stretti e tornanti, è ripida e a doppio senso di marcia), ubicata in via Regina Elena, nella contrada di Zurane. Da qui si svolta per il percorso panoramico della via che si apre sulla sinistra, salendo verso la località al Pian delle Viti, si inerpica un sentiero fino al santuario, passando per luoghi di notevole rilevanza storica, come la chiesetta di S. Bernardo e quella di S. Rocco, in località Pian delle Viti, circondata dai resti dell’antico castello di Provaglio. In mezz'ora si arriva a destinazione.;
  • dal Monastero San Pietro in Lamosa, è raggiungibile attraversando l'abitato di Provaglio d'Iseo lungo via Olimpia, via Roma e via Alcide De Gasperi, oppure lungo via Sebina, via Solferino e via De Gasperi.

 

Bibliografia:

LA MAPPA DEL TESORO - Materiali per un museo nel territorio - Settembre 2004
Produzione FONDAZIONE CULTURALE SAN PIETRO IN LAMOSA ONLUS
Scheda 9 ITINERARIO DELLA MADONNA DEL CORNO Provaglio
Testo: Luciano Peroni
Fotografie: Franco Ghigini, Archivio "Novecento Provagliese"
Progetto grafico e impaginazione: Franco Ghigini, Ruggero Soggetti
Direzione collana: gruppo di lavoro "La mappa del tesoro" (Luciano Peroni, Pierpaolo Vianelli, Giuseppe Cittadini, Paolo Cittadini, Milly Mendini, Luisa Moleri, Mario Pedretti, Guido Mucci, Caterina Archetti, Carla Lecchi, Nelson Violi), coordinato da Franco Pagnoni.
Stampa: Litografia La Cartotecnica